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Economia circolare nel tessile: dati di settore e impatto ambientale

14 Gen 2022 | Economia circolare, News

Di sostenibilità si parla molto, e citarla come paradigma produttivo è ormai prassi nel marketing, ma dietro alle affermazioni devono palesarsi atteggiamenti virtuosi supportati dai dati. L’economia circolare è di fatto l’applicazione pratica del concetto di sostenibilità, perché propone il passaggio dal sistema lineare «produci – usa – getta», che ha caratterizzato fin qui i mercati, ad un sistema circolare in cui riciclo e riuso si sostituiscono in modo massiccio allo spreco, diminuendo la produzione di rifiuti e l’impatto ambientale.

Lo spiega bene il Parlamento Europeo che preme l’acceleratore sul cambiamento già da alcuni anni. Recentemente ha rafforzato la sua posizione nel Green Deal e nel nuovo Piano d’Azione per l’Economia Circolare varato nel 2021, in cui si identifica il Tessile come uno dei settori più globalizzati e impattanti. Tesi supportata dai dati 2019 sul T&A di Euratex (The European Apparel and Textile Confederation). I numeri ci presentano un settore dal fatturato di 162 miliardi di Euro, con un export extra-UE del valore di 61 miliardi, per 160mila aziende  e 1,5 milioni di dipendenti, a fronte di 1,7 milioni di tonnellate/anno di emissioni di CO2, e del 10% delle sostanze collegate alla produzione tessile con impatto potenzialmente pericoloso sulla salute umana.

Poi ci sono gli sprechi, con la relativa produzione di rifiuti. La fast-fashion ha accorciato in modo evidente il periodo di vita degli indumenti, si calcola che in media un capo venga indossato sole 3 volte prima di essere smesso, con l’87% degli indumenti scartati che finiscono in discarica o negli inceneritori. A questi vanno poi sommati i rifiuti derivanti dalla catena produttiva stessa, come gli scarti di filati e tessuti. A livello globale si stima inoltre che dal 20 al 35% dei flussi di microplastica rilevati negli oceani provengano dal Tessile & Abbigliamento.

Per contro si registra nei consumatori un cambiamento di atteggiamento, dovuto alla crescente consapevolezza degli impatti etici e ambientali legati alla produzione. Secondo un’inchiesta condotta da Nielsen, già nel 2015 il 66% degli acquirenti si dichiarava disposto a spendere di più pur di acquistare un prodotto o un servizio da un’azienda impegnata nella sostenibilità. Per l’Italia il dato sale al 75% nel 2019/20. Nonostante si tratti di una percentuale che va “spalmata” su tutti i comparti produttivi, evidenzia nel complesso un trend in ascesa. E va detto che, nel fashion si registrano segnali altrettanto chiari, provenienti dal proliferare di App e piattaforme per il second-hand da un lato, e dall’impegno dimostrato da brand e manifatture sul fronte sostenibilità. Fondazione Symbola, con Enel, ha recentemente stilato la classifica “100 Italian Circular Economy Stories”, e tra i 100 casi virtuosi 13 fanno capo ad aziende del T&A.